giovedì 22 dicembre 2011

Cose divertenti(!) che non farò mai più(?)

L'ho fatto. Non giriamoci troppo attorno: sono andata al cinema e ho visto "Vacanze di Natale a Cortina".
Sì.
Vederli in tv, i cinepanettoni, è un conto. Già fatto, già visto.
Ma almeno una volta nella vita bisognerebbe provare a vederli al cinema.
Quando uno è attratto dai ricami sull'orlo del baratro, c'è poco da fare. Tocca dargli un complice, e spingerlo giù.

"Salve…ho una prenotazione per…ehm…ecco, sì, un attimo…"Vacanze di Natale a Cortina", ecco."
"Controllo subito il codice della prenotazione…Adele, giusto?"
"Ehm…sì, sono io, sì…" - pausa - "Ieri però sono venuta a vedere "Le Idi di Marzo", eh."
Niente, non s'impressiona. Ieri era ieri, oggi è oggi. Mi dà i miei biglietti per il cinepanettone e mi augura buona serata.
Al cinema, la prima cosa da fare è spegnere il telefono. Lo sanno tutti.
"No! Che fai!", mi intima il Virgilio di questo mio Inferno di fascioli e cotiche.
Durante il cinepanettone il telefono non si spegne: lo sanno tutti.
Lo spengo comunque, non ce la posso fare.
E poi si spengono le luci, non tacciono le voci (figurati) e nel buio sento sussurrar: "Chiami', sta a chmenz'!" ("Guarda, sta iniziando!" in antico dialetto barese con lieve inflessione Klingon).

- La platea
Moltissimi gli adolescenti, tutti felicissimi di ballare ogni volta che la musica va avanti per più di due secondi. Tutti molto felici delle cadute sulla neve, e - ça va sans dire - in delirio per ogni "mortaccitua".
Mi accorgo che in sala ci sono anche dei bambini quando, dopo un serrato dialogo sullo schermo che si conclude con un "'Sto cornuto!", una vocina nel buio dice "Papà...?".
Durante il cinepanettone, il telefono non solo resta acceso, ma si usa. Se lo lasci acceso, è peccato non sfruttarlo. Che so, per chiamare qualcuno per fargli sentire una scena, o per mettersi d'accordo sulla serata, o magari per litigare sull'orario di rientro a casa.
In effetti non è stato fastidioso: sono riuscita a seguire comunque la trama.
Soffermiamovicisi.

- La trama
Corna, crisi, parvenu, mortaccitua, sedicenti vip, equivoci, stereotipi Nord-Sud.
Ah, poi a un certo punto c'è anche una parte in cui un magnate dell'industria rischia di mandare in rovina la nazione intera per via del suo attaccamento alle donne.
Pausa.
A proposito dello stereotipo Nord-Sud, invece, quest'eterna dicotomia è brillantemente riassunta in una scena.
Christian De Sica, romanissimo marito pseudo-cornuto in trasferta a Cortina, per sbaglio passa col suo suv su una pozzanghera, schizzando così il romanissimo Ricky Memphis, che lo apostrofa con un romanissimo "A CORNUTACCIO!".
De Sica si affaccia dal suv, ferito nell'onore di cornuto: "Ma limortaccitua!" (risate).
Memphis: "Ma che, sei de Roma?".
De Sica: "No, so' de Borzàno!".
A pensarci prima, io ci avrei fatto lo spot ministeriale per il centocinquantesimo dell'Unità d'Italia.

- Christian De Sica
A rischio di sembrare sua zia, lo dico: assomiglia sempre di più a suo padre. Mi dispiace sempre un po', vederlo in questo genere di film, ma queste sono considerazioni troppo personali. Va sottolineato, però, che anche nei varii "Vacanze di Natale a inserire località a scelta", non sfugge al suo dna. Il volto trasfigurato in un melodramma esagerato per ottenere un effetto comico: quella lì, quell'espressione lì, è proprio identica a quella di Vittorio. E Vittorio De Sica ha recitato anche (questo è vero, anche) in film che non erano molto più "elevati" di questo; corna, inciuci, uomini di una certa età che vanno dietro a ragazzine che potrebbero esser loro figlie: "Pane amore e…inserire companatico". Certo, non c'erano limortaccitua, il product placement (il primo marchio compare dopo 30 secondi netti dall'inizio dei titoli di testa) e tante altre cose. Ma quei film di pane amore e qualcosa venivano snobbati più o meno quanto oggi si snobba il panettone. Ogni epoca ha i suoi carboidrati da snobbare.

- I sedicenti vip
Meritano uno spazio a parte. Alfonso Signorini e Simona Ventura, in plasticati e gioiosissimi cameo di poche pose, per fortuna. Per un paio di secondi, però, va detto che Signorini quasi ci sta dentro. Recita se stesso, in fondo: come sempre.
Ma poi, la cena. La scena che vale tutto il film, tutto lo sforzo di dire alla cassiera del cinema "Sì, ho prenotato per vedere "Vacanze di Natale", perdincibacco!", è quella della cena in un prestigioso hotel di Cortina i cui commensali sono le contesse De Blanck - sì, madre e figlia - lo stilista mummia-di-se-stesso Renato Balestra, il principe-prezzemolino Carlo Giovannelli e lui, il maestro di cerimonie, Emanuele Filiberto. Stoico nel suo volersi riciclare in qualche ruolo, eccolo recitare con la verve e l'espressività di una tendina da doccia.
Ma, del resto, sappiamo tutti che la sua vera vocazione è il canto.
A tal proposito, e senza alcun motivo, prendiamoci una meritata pausa musicale gustandoci una sua vecchia esibizione.



La cena, dicevamo. Vedendo il principe Giovannelli "recitare" anche le virgole (un po' come una Cameriera Secca di sangue blu), la contessina Giada De Blanck che non riesce a recitare una stretta di mano, sbagliando i tempi come nella migliore festa delle medie; la De Blanck madre che allunga ogni vocale sperando di dare così più enfasi alle sue battute; Emanuele Filiberto che mentre recita non muove gli occhi; le ragazzine bionde sedute accanto a me che continuano a messaggiare con la suoneria a tutto spiano; i ragazzi seduti alle mie spalle che si aggiornano via internet sull'andamento della partita dell'Inter; beh, vedendo tutto questo, mentre la sala intera è nell'unico suo momento di silenzio, io scoppio a ridere. Fortissimo. Di gusto.

Quindi sì: andare a vedere il cinepanettone al cinema fa ridere.

domenica 20 novembre 2011

Adriana, vuoi favorire?

Qualche giorno fa, la top model Adriana Lima (trent'anni e madre di una figlia) ha dichiarato alla stampa che - per i nove giorni precedenti una sfilata - segue una "dieta" di soli liquidi. E il giorno prima non mangia niente.
Al di là di quanto questo possa fare male a te, Adriana, hai pensato a quanto possa fare male a chi ti legge? Non importa che tu abbia aggiunto "Ma voi non fatelo, eh". Non importa, quando chi ti legge ha sedici anni e una percezione distorta di sé, sempre troppo
grassa. Tu sei una gran figa, e chi ti legge vede che per essere una gran figa, magra, ci si affama per nove giorni, buttando giù un sorso di succo di qualcosa quando ti senti svenire.
E' così che risponderai a tua figlia quando ti chiederà come fai a essere così bella?

Chi ti legge, Adriana, non capisce che fa male e quanto faccia male. Ti vede figa e associa queste due cose: figaggine e digiuno. Perché ci vuole poco, pochissimo, cara Adriana, a sm
ettere di mangiare, a sentirsi forti perché si è più forti della fame, a sentirsi belle perché sporgono le ossa, a sentirsi invincibili perché non si cede e la bilancia continua a scendere. Ci vuole meno di quello che pensi. Meno del tempo che ci metti a formulare una frase così pericolosa.
L'esercizio fisico, Adriana. Quella è una cosa saggia, peccato che si perda dietro la mostruosità del tuo sbandierato digiuno.
Fa' un po' di esercizio, Adriana. Metti a rosolare dei funghi. Intanto fa' sciogliere del Parmigiano grattuggiato in un pentolino con un po' di latte a fiamma bassis
sima. Per tenere toniche le braccia, poi, trita finemente delle nocciole tostate. Cuoci della pasta, e saltala in padella coi funghi, la crema di formaggio e una parte delle nocciole. Impiatta e guarnisci col resto delle nocciole tritate.
Mangia, Adriana. Sono sicura che sarai ancora più figa.

lunedì 14 novembre 2011

Averetrentanni

Mentre l'Italia passava dall'era Berlusconi all'era "Mari o Monti", anche io nel mio piccolo passavo da un'era all'altra.
Dall'"era giovane" all'"è vecchia". Ho compiuto trent'anni, non stiamo tanto lì a menare il can per l'aia.
Ma forse non tutti sanno che, a compiere trent'anni, ci si guadagna rispetto all'averne ventinove (che, per il resto, è solo un anno in meno: capirai che cambia).
Ecco una lista di ciò che ci andrete a guadagnare, mie care donzelle sull'orlo di una inutilissima crisi di nervi.


- Signoramia. Con buona pace della Signora Tabacchino, della Signora Salumeria, della Signora Panificio e della Signora Pizzeria, finalmente posso essere chiamata "Signora" avendone diritto; "Ciao, Signora", mi dicono sempre costoro. Bene, secondo il galateo, a trent'anni una donna la devi chiamare "Signora" per forza, anche se non è sposata. Se no fa troppo zitella patetica. Quindi ora non solo hanno il diritto di chiamarmi "Signora", ma ne hanno anche il dovere: e "Ciao, Signora" è un saluto bellissimo.

- La cartoleria. Per i trent'anni fanno bigliettini d'auguri appositi, che comunque sono lieta di non aver ricevuto.

- Il rispetto. Nelle discussioni, quando si perde la brocca, si tende a invocare rispetto su di sé adducendo motivazioni completamente campate in aria: i titoli, alzarsi presto, e l'età (soprattutto se maggiore di quella dell'avversario). Sono laureata e mi alzo all'alba. Con "Ci ho trent'anni" guadagno un punto nella battaglia.
La scena andrà così: "E porta rispetto: ché sono dottoressa, mi alzo alle sei e CIOTRENTANNI!".

- L'immunità. Si è immuni alla frase "Eh, ma ora è tutto un tracollo verso il baratro"; perché tanto me l'hanno detto a venti, a venticinque e pure a ventisette.


- Il plagio. I trenta sono proprio l'età della simpatica carampana non troppo vecchia, ma vecchia abbastanza da poter dire di saperne di più delle ventenni (anche quando non è vero); in ogni caso, vinci, perché puoi deviare la loro psiche con una certa autorità.

- La pietà suprema. Puoi scatenare la pietà delle zie perché a trent'anni suonati non sei sposata. Il vantaggio? Farsi coccolare randomicamente da tutte loro come se anche a te dispiacesse.


- Relativismo gravitazionale. Se il tuo corpo non regge, puoi incolpare l'età: "Ou, ciotrentanni!". Se il tuo corpo regge ancora bene, invece, puoi correre nella piazza principale di un paesino a scelta del nostro bello stivale e vantarti: "Ou, ché ciotrentanni!".

- La scienza. E' pieno di studi scientifici, sui trentenni. Se per caso ora mi ponessi una domanda su me stessa, sicuramente troverei la risposta in uno studio scientifico. Perché quasi tutti gli umani mi danno allergia? Perché alcuni di essi mi fanno venire voglia di scolarmi sei white russian di fila? Qual è il mio piatto preferito? Che fine ha fatto Carmen Sandiego?
Io, di studi sui ventottenni, non ne ho mai visti. A noi invece ci vogliono studiare tutti. Un motivo ci sarà. Vi farò sapere.

domenica 23 ottobre 2011

Le orecchiette

Dicevo qui dei ricordi commestibili lasciati dai nonni.
La mia nonna materna, pugliese, mi ha lasciato le orecchiette.
Non le preparava solo la domenica: spesso - anzi - le faceva durante la settimana e le condiva con la rucola e le patate cotte nella stessa pentola in cui poi si cuociono le orecchiette. Dalle parti nostre, usa così.
Oppure le faceva col ragù (una versione del ragù meno densa e radioattiva di quella della mia nonna paterna, ma comunque deliziosa).

Ricordo di aver passato ore intere seduta accanto a lei, a guardarla impastare, tirare la pasta in lunghi cilindri sottili, tagliarla a tocchetti e trasformare questi ultimi in orecchiette piccole, perfette.
Quando ho deciso di passare dall'osservazione alla pratica, mia nonna non c'era più, così mi sono fatta aiutare da mia madre. E mi sono fatta prestare il Coltello da mio nonno: lo stesso coltello che usava nonna. Sì, perché il coltello è importante, capirete poi perché.

Si usa la semola di grano duro, e la si impasta con dell'acqua a tempera
tura ambiente. L'impasto non deve essere troppo morbido: deve risultare ben compatto, altrimenti quando trascinerete il tocchetto di pasta per trasformarlo in orecchietta, si sfilaccerà tutto.
L'impasto va steso in tanti serpentelli di pasta del diametro di circa mezzo centimetro, e poi va tagliato a piccoli tocchetti della lunghezza di un centimetro o due.
Ora assicuratevi di avere una superficie piuttosto ruvida su cui lavorare (mia nonna aveva fatto dei graffi ad hoc sulla spianatoia di legno su cui impastava). Poggiate la punta del coltello su quel tocchetto di pasta (ecco perché il coltello è importante: se avete uno di quelli che non tagliano granché, come quelli che danno in pizzeria, siete a cavallo) e fate pressione, trascinando verso di voi la pasta e lasciando che il polpastrello si inserisca nella piega che si forma: a questo punto, rivoltate il tutto con attenzione, e avrete ottenuto un'orecchietta, che sagomerete sul vostro stesso polpastrello (astenersi manicure con unghie lunghe).
Si può procedere anche solo con le dita, ma io uso il coltello perché le donne della mia famiglia mi hanno insegnato a far così. La dimensione delle orecchiette dipenderà da quanto piccoli avete fatto i tocchetti di pasta e da quanto piccoli sono i vostri polpastrelli: ho le stesse mani di mia nonna, con dita piuttosto sottili, quindi le nostre orecchiette sono piccine.
Lasciatele seccare per qualche ora. Io dopo un po' le rigiro una alla volta, per far sì che si asciughino più velocemente anche nella parte concava.
E siccome non ho la pazienza di nonna, che aspettava che si cuocessero le pa
tate per calare la pasta e la rucola, le ho condite con un sugo di melanzane. Ho saltato in padella le melanzane a cubetti, e a parte ho preparato un sugo di pomodoro che ho poi frullato con il minipimer aggiungendo della besciamella. Si ottiene una salsa rosa scuro, che poi ho aggiunto alle melanzane.
Più le orecchiette sono secche, più tempo ci mettono a cuocersi. Una volta cotte, le ho condite con il sugo di melanzana, ho aggiunto qualche cubetto di scamorza e ho passato tutto in forno per una dozzina di minuti.

sabato 22 ottobre 2011

I cazzarielli

I nonni sono importanti. E, fra tutto quello che possono insegnare e lasciare in memoria, c'è anche il cibo.
Le mie nonne erano molto diverse tra loro e, vivendo a centinaia di chilometri di distanza, si vedevano anche pochissimo.
Ma entrambe mi hanno lasciato come ricordo commestibile la pasta.
La mia nonna paterna - campana - ogni sabato iniziava a soffriggere, rimestare, curare il Ragù.
Iniziava dal sabato, sì, e il Ragù cuoceva - con qualche piccola pausa - fino al giorno successivo.
Il Ragù non deve bollire, altrimenti si azzecca. Il Ragù deve pippiare, ovvero sobb
ollire a lungo e in modo costante su una fiamma bassissima.
Avendolo cotto per così tante ore, il ragù della domenica di mia nonna era buonissimo, ma chiaramente era radioattivo. Finivi di digerirlo verso il martedì pomeriggio, e se malauguratamente ti fossi macchiato con una goccia di quel purissimo distillato di amore e gusto, nemmeno l'omino bianco in persona avrebbe potuto salvarti la camicia.
La pasta perfetta con il ragù della domenica di mia nonna sono i cazzarielli, che lei preparava ogni domenica mattina.

Tanto è lunga la preparazione del ragù, tanto è facile quella dei cazzarielli, che si chiamano così perché sono dei cosini (dei cazzarielli, appunto) fatti solo di acqua e farina.
Si mette a scaldare dell'acqua e, quando sta per bollire (inizia a sfrigolare contro il bordo della pentola di ferro), è il momento di versarla sulla farina. Non ci sono dosi: bisogna osservare e capire, aggiungendo l'acqua un po' per volta. Sappiate soltanto che il peso della farina iniziale diventa poco meno del doppio una volta impastatala con l'acqua.
All'inizio mescolate con una forchetta: l'acqua è davvero caldissima e l'impasto, di conseguenza, scotterà parecchio. Poi iniziate ad usare le mani. Quanto tutto è abbastanza morbido e compatto (aggiungete, a seconda del caso, altra acqua caldissima o altra farina), iniziate
a stendere dei lunghi serpentelli di pasta del diametro di una penna, che poi taglierete a tocchettini lunghi due o tre centimetri, che poi passerete uno alla volta sul retro di una grattugia…che al mercato mio padre comprò. Vanno bene anche i rebbi di una forchetta.
È più facile a farsi che a dirsi. Il segreto è che l'impasto non sia troppo appiccicoso e che l'acqua che usate sia caldissima, altrimenti la pasta risulterà sempre troppo callosa.
Io non ho la pazienza di nonna che si metteva a cucinare il ragù dal sabato, così ho fatto soffriggere del macinato, ci ho aggiunto degli champignon tagliati sottili sottili e a parte ho fatto una piccola pseudo-fonduta con latte, formaggio grana e formaggio fresco. Ho condito i cazzarielli così, aggiungendo un pizzico di noce moscata alla fine.
Come i loro cugini gnocchi, anche i cazzarielli sono cotti quando salgono a galla a dirvelo.

sabato 1 ottobre 2011

"Che ci vuole?"

Attenzione: questo testo contiene solo una parte dello scenario reale. E per fortuna che è solo una parte.

"Lavoro di concetto": mansione di tipo intellettuale.
Vuol dire che se svolgi "lavoro di concetto" la tua fatica dà come prodotto sostanzialmente un'idea, che può avere diverse forme di realizzazione pratica (un manifesto, una campagna pubblicitaria, un calendario, un programma televisivo, radiofonico o uno show in piazza, una locandina, un video, una foto, un sito web, un evento, e così via). Ma è sostanzialmente l'idea che c'è alla base, il vero prodotto del tuo lavoro.
La cosa che veramente accomuna tutti i Lavoratori di Concetto è essersi sentiti dire almeno una volta la seguente frase: "…e che ci vuole…?".
E tante volte ti sei chiesto, Lavoratore di Concetto, perché - dopo aver lavorato alacremente su un'idea - il cliente di turno ti chieda di cambiare pressoché tutto quanto (su come ciò avvenga servirebbe un altro post), dicendoti "E sì, tanto che ci vuole?".
Bene, te lo dico io perché ti succede: perché tu non spacchi la legna, caro mio.

Albert Einstein ha detto: "La gente adora spaccare la legna. In quest'attività i risultati si vedono subito".
E' una frase molto utile anche a chi fa lavoro di concetto. Se tu fossi un boscaiolo, caro Lavoratore di Concetto, nessuno si sognerebbe mai di dirti "Che ci vuole?". Perché si vede; poche cose sono più tangibili di una bella sequoia. Una sequoia non dura trenta secondi, non si apre con un click del mouse, non si può appallottolare e buttare nel cestino, non si esaurisce in una serata. Una sequoia è graaaande! E se qualcuno vede una pila di ciocchi di sequoia alta otto metri, non può che esclamare "Accidenti, che faticaccia ha fatto il boscaiolo!". E una settimana di lavoro è più che spiegata e giustificata e apprezzata.
Ma tu, Lavoratore di Concetto, vai dal tuo cliente con il tuo bel tascapane Eastpak dentro cui metti un portatilino, un taccuino, una penna e una bottiglietta d'acqua. E parli. Parli e spieghi un'idea. Un'idea che spieghi in quindici minuti, anche se tu ci hai messo una settimana per fartela venire, prendendo appunti in autobus, al cinema, a letto, nella pausa pranzo, ovunque ti venisse un pezzetto di idea in mente. Scartandone mille, tenendone da parte una ventina, lavorandoci attorno fino ad ottenerne una che ti sembrasse buona e degna del lavoro che ti hanno assegnato.
Ma ci metti un quarto d'ora a dirla. E chi ti ascolta non vede sequoie. Chi ti ascolta, ti sente parlare un quarto d'ora e pensa che tutto sommato tu, in un quarto d'ora, possa concepire una cosa ancora più figa. Perché, tanto, che ci vuole?



P.s. A me i boscaioli stanno molto simpatici, comunque. E ho molto rispetto per il loro lavoro.

lunedì 5 settembre 2011

Ha da veni'...

Farà più fresco, presto o tardi. "Non può piovere per sempre", diceva quello, non vedo perché dovremmo crepare di caldo per sempre.
E io il fresco lo accoglierò così: con un piatto di gnocchi filanti.

Prenderò un cipollotto e lo taglierò a rondelle sottilissime, che farò soffriggere in olio extravergine di oliva. Vi aggiungerò un trito di scottona (non farò stolte battute sulla "Vacca sul tetto che scottona"), e intanto metterò a cuocere gli gnocchi di patate. Un attimo e saranno pronti, allora li metterò in padella col resto, e aggiungerò della stracciatella sminuzzata. Lascerò che tutto fili e si amalgami sulla fiamma vivace, e aggiungerò un pizzico di noce moscata e mezzo cucchiaino di miele, affinché la leggera acidità della carne e del cipollotto si plachino, lasciando esprimere la stracciatella in tuo il suo bianco e filante splendore.

E stapperò un Aglianico, e brinderò al ritorno di Sua Maestà l'Autunno.

martedì 9 agosto 2011

Rivolte, pulizie, social network

"Il tam tam corre sulla rete…": così, con questa frase, almeno tre giornali tra ieri e oggi parlavano delle rivolte di Londra e dintorni, iniziate qualche giorno fa. La stessa identica frase.
Peccato che quegli stessi giornali, e la quasi totalità degli altri, dimentichi di notare che quella stessa rete, sempre più sorella del demonio nell'immaginario collettiv
o poco incline all'evoluzione e all'ammissione delle teorie di quest'ultima, sia fautrice di uno straordinario movimento di collaborazione contro quelle rivolte.
Da più parti l'internet si sta muovendo per raccontare senza fronzoli quello che sta succedendo, attraverso i 140 caratteri di Twitter, attraverso i post su Facebook e attraverso video e fotografie presi in loco e condivisi in tempo reale (come questo album flickr di Jason Cudd
y).
Si racconta, si fa cronaca nuda e cruda.

E ci si organizza per proteggere la città.
"Lei mi sta dicendo che dall'internet sta nascendo qualcosa di buono e non violento?". Sì, signora mia (non sarebbe la prima volta, ma ne parleremo in un altro momento).
Dall'internet si sono mossi a partire da Twitter con la cronaca delle rivolte tramite lo hashtag #londonriots.

Dopo gli hashtag, qualcuno ha creato il profilo Twitter @RiotCleanup, e lo ste
sso è successo su Facebook, con altre due pagine (qui e qui).
Clean-up? Pulizie? Esattamente. Gruppi di persone, cittadini comuni dotati di internet e buon senso, si sono riuniti per ripulire le strade devastate dalle rivolte.
Ma non basta. Per organizzarsi meglio, il movimento delle scope e delle palette ha creato il sito web riotcleanup.co.uk

E se avete trovato foto di qualcuno che simpaticamente saccheggia un negozio, spacca una vetrina in allegria, incendia un'auto con letizia o ha furbescamente scritto sul suo account twitter di essersi fregato un sacco di roba con la scusa delle rivolte, beh, potete segnalarlo a "Catch A Looter". E se non avete visto nessuno perché magari siete altrove, date comunque un'occhiata a questo microblog (e, in generale, non voltate lo sguardo solo perché non siete a Londra): ci sono delle foto che fanno pensare sul serio. E che forse parlano molto di più di un servizio del tg4 che getta panico come segatura sulla pipì del gatto e se la prende solo con feisbuk e tuitter.

P.S. E se qualcuno dovesse avere il dubbio che non stia succedendo poi granché, ecco un bel "Prima e dopo" in omaggio.

lunedì 25 luglio 2011

La colpa è tua, norvegese.

Oggi ne ho sentito parlare da più persone, in più contesti (un'analisi ben più sobria ed efficace di questa la trovate qui). Così alla fine ho ceduto e sono andata anche io a leggermi la colonna e mezzo che Vittorio Feltri ha dedicato alla strage in Norvegia.

Avrebbe potuto usare quello spazio per esprimere sincero cordoglio a una nazione devastata dallo sconcerto e dal dolore. O avrebbe potuto chiedere scusa per aver dato a casaccio la colpa ai musulmani in un bel titolone a nove colonne sull’onda – letteralmente – d’urto dell’accaduto. Il titolo colpisce, ha proprio quell’effetto da scuola elementare del tipo “Maestra, lo vedi, è lui che mi sputazza le palline di carta sul collo!”. Certo, avrebbe anche potuto scrivere che la colpa è dei musulmani sempre e comunque, perché sollevano questioni di integrazione e tolleranza che senza di loro non si porrebbero…

Avrebbe potuto usare quella colonna e mezzo, Feltri, anche per scrivere la sua lista della spesa: sarebbe stato sicuramente più adeguato e rispettoso di quello che ha scelto di fare oggi per riempire quello spazio. La sostanza è questa: un – grossolano – trattatello antropologico in cui torna continuamente una domanda, traducibile con “Com’è possibile che non gli abbiano spaccato il c. prima che ne facesse fuori 80?”.

Certo, continua Feltri, è facile scrivere queste cose seduto a una scrivania senza aver mai passato nulla di simile. Eppure lo faccio: com’è possibile che non gli abbiano spaccato il c. prima che ne facesse fuori 80? Eh? Non dovevano pensare a salvarsi, non dovevano fingersi morti o gettarsi in acqua per provare a scappare. Che, non lo sapete che in Norvegia l’acqua è fredda? Magari avevate pure appena mangiato. Sprovveduti. Vi dovevate mettere d’accordo e zompargli addosso, cretinetti. Che fa che quello sparava a vista: sparava, mica ti mangiava, norvegese! Tu gli zompavi addosso, e quello sicuramente cadeva e non ti menava un pugno nello stomaco, non ti sparava un colpo in testa, norvege’. State sempre con quei cellulari in mano, potevate twittare il fatto; bastava usare l’hashtag #cazzostannofacendounastrage e avreste avuto una perfetta organizzazione della controffensiva. Avete i mezzi e non li usate, norvege’.

La colpa è tua, ragazzino norvegese che vai a un campeggio per parlare di politica e discutere con altri ragazzini norvegesi dei vostri ideali e di come costruire un futuro migliore. La colpa è tua, che vedi un poliziotto in giro e non ti insospettisci (anche se effettivamente non sembrava un musulmano, quindi magari qui ti posso dare ragione, se non ti sei insospettito bene perché era biondo). La colpa è tua, ragazzino norvegese andato a sognare un futuro più giusto, la colpa è tua; che uno inizia a sparare nella folla e tu scappi.

domenica 17 luglio 2011

Faccio cose, sazio gente #2 - Non per forza di giovedì

Ha fatto molto caldo, in quest'ultima settimana. Ma finalmente nel weekend si è ricominciato gradualmente a respirare.
No, non intendo parlare del tempo, anche se sembra che sia diventato l'argomento preferito dagli italiani: abbiamo quasi rubato il primato agli inglesi.
È che, approfittando dell'aria più respirabile, si può cogliere l'occasione per un piatto domenicale che contempli la leggerezza delle verdure ma l'arricchisca con la lussuria
cremosa della besciamella.
Un mio amico una volta mi disse che aveva sempre creduto che la besciamella crescesse già fatta sopra gli scaffali dei supermercati: mi sentii un mago, quando gli mostrai che la besciamella puoi fartela in casa facendo sciogliere del burro, aggiungendo della farina setacciata (in quantità sufficiente a formare una specie di impasto simile a quello del pane) e poi del latte. Io la faccio cuocere una decina di minuti, e alla fine la aggiusto di sale e aggiungo un pizzico di noce moscata.

Per condire gli gnocchi della domenica di Maestrale, tagliate un peperone e una zucchina a pezzetti molto piccoli e fateli rosolare in padella con un filo d'olio extravergine di oliva. Quando il rumore del loro sfrigolare sembra l'equivalente di un rave party delle verdure, è il momento di aggiungere un po' di acqua (o di brodo, se ne avete) e far cuocere ancora una decina di minuti; o anche meno: dipende da quanto vi piacciono croccanti le verdure.
Fate cuocere gli gnocchi, intanto. Questa sorprendente invenzione dell'Uomo ha innumerevoli qualità, prima fra tutte il fatto che vi accorgete che son cotti perché salgono a galla a dirvelo.
Metteteli nelle verdure sfrigolanti, aggiungete la besciamella (anche se la comprate già fatta così come cresce sugli alberi nascosti negli scaffali dei supermercati, va bene), lasciate fare amicizia a tutti questi ingredienti per qualche decina di secondi e poi servite, mettendo su ogni porzione un po' di basilico tritato.
E vedi che ti mangi.

sabato 9 luglio 2011

Faccio cose, sazio gente #1 - Schiacciatine di pollo

Signora mia, c’è la crisi. Beh, lo annunciava Quèlo già da anni, che c’è grossa crisi, grosso egoismo e grossa violenza.

Con la crisi, si sa, far la spesa diventa un’impresa, anche se Berlusconi dice che è colpa nostra, che non ci sappiamo prendere quattro ore di tempo per girare tutti i mercati della provincia per trovare mezzo kg di zucchine al prezzo migliore sul mercato.

Dunque pare che mangiare bene sia quasi un’acrobazia. Ma si può fare.

Si deve fare, perché il cibo nutre il corpo, ma anche l’anima, signora mia.

Perciò, di tanto in tanto, l’Insostenubile leggerezza dell’essere aprirà una finestra sulla cucina. Senza pretese tecniche, a modo nostro, come lei è Ammodomio. Il paragone è indegno, perché La Signora Ammodomio è fantastica sul serio. In comune abbiamo solo la voglia di condividere i nostri esperimenti e le nostre idee, senza dare dosi precise a cui aggrapparsi col piglio del piccolo chimico.

Io inizierei con una cosa veramente semplice. Le schiacciatine di pollo.

Spesso capita di avere in mente un risultato, e poi finisce che questo risultato sia diverso per qualche ragione, ma ciò non vuol dire che sia peggio del previsto.

È il caso di questi bocconcini, che nascono con tutt’altra intenzione, ma va bene così.

Prendete del petto di pollo e tagliatelo a dadini molto, molto piccoli (sono così fissata con gli utensili da cucina, che non escludo un futuro post interamente dedicato ai coltelli), e mettetelo in una ciotola, assieme a del pane raffermo precedentemente ammollato nel latte e poi strizzato. Aggiungete sale, pepe (bianco, possibilmente) e l’albume di un uovo (il tuorlo non buttatelo via: può servire per la doratura dei rustici o potete farci una piccola frittata da tagliare a strisce sottili e mettere nell’insalata). Amalgamate tutto con le mani, cullandovi col pensiero che poi potrete lavarvele. Se vi risulta troppo “molle”, potete aggiungere ancora un po’ di pane.

Quando tutti questi elementi avranno fatto abbastanza amicizia tra loro, formate dei mucchietti della forma e della dimensione di un hamburger (o più piccoli, se volete usarli in un aperitivo come finger food), e passateli da ambo i lati nel pangrattato. Assicuratevi che sia tutto ben impanato e compatto, affinché il risultato finale sia buono e anche bello da vedere.

Fateli cuocere in olio extravergine d’oliva e, quando sono ben dorati da tutte e due le parti, metteteli su carta assorbente per un paio di minuti, giusto il tempo di regalare ai vostri commensali un rigenerante bicchiere di Falanghina alla giusta temperatura.

Servite le schiacciatine su un letto di insalata fresca…e vedi che ti mangi.


E, già che ci siamo, con questa ricetta proviamo a partecipare (indegnamente) al contest "L'estate in un boccone" di About Food & Cassandra.it



(c) 2011 Adele Meccariello - All rights reserved

martedì 7 giugno 2011

Del guano come metafora di vita

A volte è inutile cercar metafore: arrivi all’imbrunire e ti rendi conto che è stata una giornata semplicemente di merda. E tornando a casa speri soltanto che non peggiori.
E ti senti all’ultimo livello di un videogame. Devi solo stare attento e fare tutte le mosse giuste.
Sei al massimo della tensione, ma ti ripeti il mantra che “manca poco, ancora tre isolati”. Semaforo verde per le auto, rosso per i pedoni. Ti fermi. Non hai giocato anni e anni a “Frogger” per non imparare niente.
Resti fermo e resisti. Qualcosa ti cade sulla testa, e il nanosecondo che passa tra quel momento e quello in cui ti rendi conto che un piccione ti ha cagato in testa è il nanosecondo più innocente della tua vita.
Tre isolati di parolacce a mezza bocca. Ok, non tanto “mezza”.

Ora puoi davvero definirla una giornata di merda, senza timore di smentita.
Mentre sciacqui via la rabbia (ok, il guano, chiamiamo le cose col loro nome), ti viene in mente tutta l’ironia stu
pida sui piccioni che la fanno in testa agli umani. “Sicuramente è gente che non ha mai avuto come ciliegina sulla torta di una pessima giornata una bella frittata di guano in testa”. O forse sì…chi meglio di “uno di noi” avrebbe potuto concepire il monumento di un piccione su cui due umani volano a fare i loro bisogni in “Top Secret!”?

E ti viene in mente che se non ti ha mai cagato un piccione in testa, non puoi mai capire quanto sia verosimile che abbiano davvero studiato per farlo con tale tempismo e precisione. Ad esempio, se hai i capelli puliti, lo faranno in testa; se invece hai una giacca nuova, lasceranno stare i capelli e ti colpiranno sulla giacca.

Poi pensi che dall’esterno deve essere stato piuttosto ridicolo, da vedere: un perfetto slapstick.
In effetti, dall’esterno, fa ridere.
E pensi che questi ratti co
n le ali che girano per la città con un’aria un po’ stupida contagino anche noi, e non solo con le malattie. Anche con l’aria non esattamente intelligente.
Così, alla fine di una giornata di mer… ehm, di guano, mentre asciughi i capelli finalmente puliti, ti accorgi che stai sorridendo, e che puoi trovare sempre qualcosa di cui ridere.

sabato 30 aprile 2011

Frivolezza a corte

Una delle caratteristiche principali delle cerimonie nuziali è il ricamo.
Non il ricamo dell'abito della sp
osa, ma il taglia-cuci-ricama di commenti su cerimonia e ospiti.
E ieri ben 2 miliardi di persone sono state invitate a un matri
monio: quello del Principe William Arthur Philip Louis d'Inghilterra e Miss Catherine Elizabeth Middleton (semplicemente perfetta. Anche nel saluto: all'andata ragazzotta esagitata, al ritorno perfetta principessa, anche se principessa ancora non è). Senza l'impegno del regalo, del vestito, del viaggio.
Cosa resta? Il ricamo.
Che lo abbiate seguito (o subìto) in tv, su internet, commentato in diretta su facebook, twitter, flickr, tumblr, l'atto è lo stesso: taglia-cuci-ricama.
Un evento da studiare, dal punto di vista mediatico. Ma non è il mio mestiere.
Io ero là, in pieno multitasking tra il lavoro e la cerimonia, sobria e seria come una mise da concerto di Rick Wakeman.
Sullo schermo, una passerella di fauna incappellata e sorridente.





Oddio, non proprio tutti sorridenti. Per far sorridere Victoria Beckham bisogna farle il solletico per sei mesi. Nemmeno ieri sorrideva, orgogliosamente infagottata nel suo sacco di patate Selenella da lei stessa disegnato. Un trionfo di gioia, tutta di blu scuro vestita, trucco nero, extension lunghissime e nere, e cappellino pericolosamente obliquo. A dare un tocco di colore al tutto, scarpe e borsa: nere. Nonostante ciò, aveva un'allure di classe e una forma tutta sua di contentezza, che attenuava persino la sua solita espressione "Checcazzovuoi".





Sorridenti e colorate, invece, le figlie della non-invitata Sarah Ferguson, Eugenia e Beatrice. Una con in testa una barchetta ripiena di fagiani, e l'altra - vestita color tortora - ha saputo del matrimonio all'ultimo e quindi ha dovuto scardinare il fregio da un cancello e usarlo come cappellino.


Zara Philips, cugina dello sposo. In testa ha optato per un sobrio vinile dei Rockets, e addosso ha messo uno dei loro costumi di scena, da abbinare ad un accompagnatore preso direttamente dal gruppo.


La principessa Anna, madre di Zara nonché equina zia dello sposo, arriva raggiante avvolta in un Granfoulard Bassetti; ma rispetta la tradizione che vuole - in tutto il mondo occidentale - la Zia Dello Sposo col cappello con la veletta e la borsetta sottobraccio.


La Duchessa di Cornovaglia Camilla. Indossa più roba possibile per coprirsi, e questo le fa onore. Anche lei - come farà pure la Regina - non resiste al richiamo di usare un copricapo commestibile: conscia della lunghezza della cerimonia (e poi anche da loro usa che gli sposi vadano a farsi le foto prima dell'inizio del ricevimento), sceglie di mettere in testa un gigantesco cracker di gamberi.






Last, but non sia mai least, la Regina. Impeccabile nell'abbinamento dei colori (si abbina persino al prete), sceglie come copricapo una bavarese al limone. I soliti ben informati dicono che il marito abbia tentato di azzannarle la testa durante un calo di zuccheri avuto nel corso della cerimonia.

Qualcuno vorrebbe che anche da noi ci fossero "Royal Weddings". Io dico che certe cose è meglio lasciarle a chi le ha da secoli nelle proprie tradizioni e guardarle così, da lontano, affacciati a un balcone.
E poi, in Italia non lo faremmo mai così bene: ci faremmo prendere dalla smania di essere (radical) chic e rinunceremmo persino alla cascata di prosciutto.



Royal Wedding Photos © Press Association / AFP

Santa Claus (is almost) in da house

Bari si prepara alla festa di San Nicola.
I pali per le luminarie e il palloncino smarrito.
E' già pronto - lì, tra i fili della corrente - per la disperazione à porter di un bambino.
Perché ogni volta che ci si lascia sfuggire un palloncino, o quando questo scoppia, il cuore perde tre battiti, gli occhi si fanno di vetro e le palpebre si bloccano come tapparelle alzate. E poi ci si sente un po' morire.
Dura tutto pochi minuti, ma è uno dei primi impatti con i concetti di "Abbandono" e di "Ingiustizia".
Bisogna regalare palloncini ai bambini, ogni tanto, per prepararli alle gioie e agli imprevisti della vita.

giovedì 21 aprile 2011

Insana e debole Costituzione

Sembrava uno scherzo, la notizia che riportava l’intenzione di modificare l’articolo uno della nostra Costituzione.

Poi ho fatto due conti, e ho visto che il primo aprile era passato da un pezzo.

L’Articolo uno…quello che impari a memoria da subito, quello che in due righe dice come dovrebbe essere l’Italia.

Ma sì, dai, che vuoi che sia. Cambiamola, ‘sta Costituzione. Faccio l’aggiornamento del sistema operativo, del telefono, dei vestiti che ho nell’armadio, e non devo aggiornare la Costituzione, incaponendomi su ‘sto vecchiume? Dai, su, cambiamola.

Togliamo innanzitutto le parole che non ci piacciono (tipo la sovranità al popolo, ‘sti plebei), alleggeriamola, usiamo le emoticon, i personaggi più trendy del momento (far scrivere un paio di articoli a Nando del Grande Fratello sarebbe il massimo), e per premiare tutto questo lavoro di riscrittura, usiamo un po’ di stelline dorate adesive tanto ambite dai bimbi più bravi.

Bravi, bravi. Bravissimi.

Prestazione Occasionale ed io abbiamo provato a giocare d’anticipo, con una proiezione della probabile nuova Costituzione della Repubblica Italiana.

La Costituzione della Repubblica delle Banane

(Gli articoli dall’1 al 6 sono riportati su Prestazione Occasionale)

Art. 7

Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani.

I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale.

Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, rispettivamente, dipendente e sovrana. I loro rapporti sono regolati dal patto che lo Stato dica le sue preghierine tutte le sere prima di andare a dormire.

Art. 8

Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge.

Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano.

I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze.

Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge. La legge è libera a sua volta di discriminare tutte le confessioni religiose diverse dalla cattolica. Le confessioni religiose diverse dalla cattolica sono delle sfigate. I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge dal principio “Andate a pregare Allah a casa vostra”.

Il termine“confessione” è comunque ammesso solo se associato ad argomenti di tipo religioso. La repubblica non ammette alcun altro tipo di confessione. Nella repubblica italiana non si confessa niente a nessuno. E pure sulle confessioni religiose ci dobbiamo pensare un attimo.

Sono altresì ammesse, apprezzate e valorizzate genuflessioni, prostrazioni, costrizioni, coscrizioni e prescrizioni.

Art. 9

La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica.

Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.

La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e della ricerca scientifica all’estero, che qua non sappiamo che farcene.

Tutela il paesaggio promuovendo la cementificazione e la nuclearizzazione del territorio. Il patrimonio storico artistico della Nazione è roba vecchia e cadente, non sappiamo che farcene manco di quello.

Art. 10

L'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute.

La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali.

Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge.

Non è ammessa l'estradizione dello straniero per reati politici.

L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute… ma sai, io sono poco fisionomista.

La condizione giuridica dello straniero non esiste.

Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche, non pretendesse di esercitare libertà a casa nostra. Ha diritto di asilo, ma arrivato alle elementari se ne deve andare.

Art. 11

L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.

L’Italia ripudia la guerra se non c’è di mezzo il petrolio, il servilismo o un tornaconto economico. In generale ripudia la guerra perché è stancante, ma se glielo chiede l’America ci va lo stesso.

Art. 12

La bandiera della Repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di eguali dimensioni.

La repubblica non ha una bandiera sola, perché a noi piace variare: può essere tutta verde, o tutta rossa, o tutta nera, o bianca e gialla, a righe, a stelle, a quadretti o a pois, a seconda di come ci svegliamo al mattino.

lunedì 18 aprile 2011

Cmd+z and carry on

La tecnologia un po’ mi ha rovinato la vita.
Sarebbe troppo facile mettersi qua a scrivere quante cose buone e quante cose belle invece ha portato. Dal frullatore a immersione ai feed rss.
Facile.
La tecnologia si annida nelle piegoline del nostro cervello e fa anche i suoi bei danni.
Il maggiore, per me, è ctrl+z. O cmd+z. O Mela+z.
Insomma, la scorciatoia di tasti che consente di annullare l’ultima azione compiuta con la maggior parte dei software per Mac e PC.
È utile, utilissima. Ma ha il suo rovescio, perché viene spontaneo farlo anche nella vita reale e ci si rimane malissimo quando si realizza che nella vita non funziona.
Quando ti arrampichi su una mensola troppo alta per posare una boccetta di stupido smalto (gli oggetti che poi si rompono diventano inevitabilmente “stupidi”), e questa cade, tingendo di
viola un po’ tutto, pavimento di marmo incluso.
E tu ti guardi attorno, immersa nel viola, alla ricerca di qualche enorme tasto cmd e uno Z…ma niente. E ti tocca pulire tutto per un’ora e dormire tra i miasmi dell’acetone.
Quando scendi di casa troppo tardi e perdi il bus…e ti serve un cmd+z per annullare l’azione che ti ha fatto perdere tempo prima di uscire.
Nella vita non c’è, il cmd+z, sebbene sarebbe la cosa più democratica e rassicurante del mondo. Non lo puoi fare a oltranza, non puoi andare più a ritroso di un tot di azioni; eppure ti dà una democratica possibilità di redimerti dai tuoi piccoli errori quotidiani.
Come quando l’hard-disk del tuo computer ti abbandona nel momento esatto in cui avevi deciso di perdere un pomeriggio coi back-up. Cerchi un enorme cmd+z per annullare la rottura dell’hard-disk e fare prima l’operazione di back-up. Ma questa è meta-follia: il cmd+z forse c’era, ma non ha funzionato perché il computer era già rotto.


Immagine per gentile concessione di Steven Anderson.

Avrei potuto prenderla e basta, ma gli ho scritto una mail, gli ho chiesto il permesso e lui è stato contento di prestarmi la sua bellissima grafica. Alle volte, basta chiedere.

martedì 15 marzo 2011

Il Livoroso, le Groupies e io.

Sapevamo che sarebbe stata dura, sapevamo che ci sarebbe stata tantissima gente e sapevamo anche che ci sarebbero state misure di sicurezza straordinarie.
La presentazione di un libro di Roberto Saviano in Feltrinelli non è esattamente uno showcase dei Dari, per quanto non è detto che quest’ultimo sia meno pericoloso.
“Ma ne vale la pena”, ho pensato. Conosco gli scritti di Saviano, ancor prima dei suoi monologhi televisivi, e ne ho molta stima. Basti questo, non è il luogo né il momento per aggiungere altro in proposito. Non è Saviano il punto, stavolta.

Arrivo davanti alla Feltrinelli attorno alle 18.40, l’incontro è previsto per le 21. Simona e io raccogliamo compostamente le nostre mascelle cascate a terra alla vista della coda già interminabile davanti alla libreria. Non tutti quelli che faranno la fila potranno entrare, gli altri potranno seguire la serata dall’esterno grazie al maxischermo.
La cosa bella di quando stai facendo la coda è il momento in cui ti volti indietro e vedi che c’è gente messa peggio. Allora decidi di fare la coda dando le spalle al tuo obiettivo e fronteggiando i poveri sfigati che sono arrivati più tardi.
Tra questi, Il Livoroso. Chiameremo così un uomo di mezza età arrivato con aria di sfida, che ha tempestato me e Simona di domande sulla serata, sull’organizzazione, sulle misure di sicurezza, sugli orari, per poi attaccare bottone anche con i fidanzatini accanto a noi, dicendo che a lui questo fenomeno non piace. Che Saviano non è niente di che, che questi eventi sono inutili. In soldoni, che le parole non servono, che attirare persone a leggere, ad informarsi, ad aprire in qualche modo gli occhi, è inutile. Tutto questo, ripetendo più volte “Io di lui so poco e niente, eh”. Insomma, Il Livoroso è il rappresentante perfetto di uno dei due più fastidiosi gruppi di persone che si formano quando si parla di Saviano: i detrattori a tutti i costi. Quelli che dicono male di Saviano solo perché gli piace dire male di qualcosa che sembra essere positivo, perché “c’è per forza qualcosa sotto”; o perché fa figo fare i cinici (anche quando il cinismo è a sé stante e non motivato da reale idiosincrasia o ironia); o perché vogliono provocare reazioni e discussioni senza che ve ne sia reale motivo.
Intanto, nella fila, Simona e io ci sentiamo pressate: ci spingono.
Sono loro, Le Groupies. “Cioè tiggiuro che se non mi fanno entrare io piango per tre giorni, te lo dico”. Una di loro l’ha detto davvero, non è fiction letteraria.
Le Groupies sono l’altro grande schieramento che si forma di fronte alla figura dell'autore campano. Sono l’opposto de Il Livoroso. Sono quelli che continuerebbero ad applaudire Saviano anche se tutt’a un tratto si mettesse ad ammazzare gattini. Quelli che ieri sera iniziavano ad applaudire ancor prima che lui riuscisse a finire un concetto.
Esempio: voleva dire la sua sulla manifestazione Se non ora, quando? di qualche settimana fa. Inizia la frase: “…scendere in piazza, per delle manifestazioni…manifestazioni come quella delle donne di qualche settimana fa…”
APPLAUSO.
E se avesse voluto dire “manifestazioni come quella delle donne di qualche settimana fa…mi fanno schifo”?
Non lo sapremo mai. Roberto, bontà sua, ha dovuto dirne bene perché ormai l’applauso stava pagato.
Cioè-tiggiuro-se-non-mi-fanno-entrare-piango-per-tre-giorni alla fine è riuscita ad entrare; spingendo, intrufolandosi ovunque nella fila…avvelenando qualcuno con fialette puzzolenti, forse.
Nel frattempo, Cappottino Bianco, altra femmina della specie Groupie, giace appollaiata sopra i libri per meglio vedere la sua preda, l’ignaro scrittore Saviano. Un uomo che parla di libri a una donna che li calpesta con le proprie chiappe.
Ma tra Groupie e Livoroso è emersa un’altra specie, meno facile da individuare, perché priva di urlante livore o idolatria. Il Fritto Misto. Persone che a vederle tutte assieme uno si chiede “ma perché?”, poi ci pensi e immagini che in qualche modo abbia senso. Dopo tutto, pure la paella è fatta con le cozze, i piselli e altra roba che difficilmente abbineresti certo di un successo. Ho pensato anche male, ho pensato che molti dei liceali presenti fossero costretti dai prof a essere lì, con qualche ricatto della serie “Domani parliamo di Saviano e non ti interrogo”. Ma poi ho parlato con una ragazzina di diciassette anni, che mi ha raccontato che stima Saviano per come scrive, ha letto i suoi libri ed è d’accordo con ciò che dice. E non la stavo interrogando, io.
Allora forse non tutti erano mandati dai prof.
Una volta fuori, mi sono confrontata coi miei amici, e non tutte le nostre considerazioni erano positive. Ci siamo detti che c'era anche tanta retorica, c’era la doverosa ruffianeria in stile “siete un pubblico meraviglioso…ehm…ehm…Springfield!” e c’era un congiuntivo sbagliato che mi ha fatto rabbrividire.
Il Fritto Misto è importante.

Ci sono anche persone che non sentono necessariamente il bisogno di scagliarsi contro qualcosa o qualcuno per mera moda, spirito di contraddizione, provocazione, cinismo o – peggio – invidia.
Persone che non sentono il bisogno di idolatrare qualcuno perché parla, perché le cose che dice sono
pericolose, perché “fa una vita di merda” e perché fa 10 milioni di spettatori in tv senza nemmeno spogliarsi.
Ci sono persone con una testa propria, in grado di dare la propria stima ad un autore, di riconoscerne il carisma, di starlo a sentire, ma anche di muovergli critiche, e capire quando esagera, quando è retorico, quando è lento, quando è ruffiano. “C’era bisogno che certe cose le dicesse Saviano, per dire che sono giuste?”. Certo che no. C’è differenza, infatti, tra dire “Questo è giusto perché l’ha detto Saviano” e “Saviano ha detto una cosa giusta”. La differenza, appunto, è usare la propria testa. Ascoltare, usare il cervello e poi valutare.
Cognizione di causa.
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