martedì 27 luglio 2010

Anche le formiche, nel loro piccolo.

Twitter può essere utile. È così, infatti, che mi è arrivato questo video (grazie a @dougcoupland).


Sono rimasta un po' scossa dall'architettura nascosta del formicaio. L'equivalente "formichesco" della Grande Muraglia. E senza un architetto, senza progetti disegnati, senza ruspe, senza casse di birra e panini di mortadella nelle pause pranzo.
Senza alcuna prospettiva di gloria. Nessuna.
Le formiche lo fanno perché è utile e perché va fatto. Avete mai visto la foto di una formica appesa fuori da un formicaio con sotto la scritta "Impiegato del mese"? No, e non la vedrete mai. Non solo perché sarebbe troppo piccola perché possiate accorgervene (anche se vi converrebbe forse prestare più attenzione alle cose piccole). Ma perché non è per essere ricompensate che le formiche lo fanno.
Non hanno i Piani per le Grandi Opere. Lo fanno perché serve. E fare qualcosa di utile, che migliora la loro vita e quella degli altri, è per loro probabilmente la più grande ricompensa.
Viva le formiche.

giovedì 15 luglio 2010

Biografilm Festival - Parte II (Nobody Expects the Spanish Inquisition!)

With audio clip (instructions below)

Arriva così il sabato in cui dovrei fare l’intervista al Signor Palin. Cerco di godermi il più possibile la mattinata, anche se continuo a pensare a intermittenza alla serie di possibili catastrofi che potrebbero capitare nel pomeriggio.

Come, ad esempio…

Le pile del registratore si scaricano e non trovo più quelle di riserva che mi sono portata (quattro, per la cronaca).

La batteria dell’iPhone che userò come secondo supporto di registrazione, si scarica.

Mi si secca la bocca e non ho nemmeno una goccia d’acqua a portata di mano.

Tossisco e non riesco a parlare.

Dimentico tutto l’inglese che so.

Riesco a fare a Michael Palin l’unica domanda al mondo che gli fa saltare i nervi e lui mi caccia via urlando.

Mi si rompe una gamba e non riesco ad andare alla Manifattura.

Eyjafjallajökull erutta di nuovo e Palin resta bloccato a Sheffield.

Io vengo rapita dagli alieni.

Michael Palin viene rapito dagli alieni.

Gli alieni impediscono a Palin di rilasciare interviste.

E così via.

Dopo aver pranzato in un grazioso locale tra i 38km di portici di cui è disseminata Bologna, torno in albergo per sistemare le domande da brava secchiona. Alieni permettendo, ovviamente. A volte, paradossalmente, è più facile intervistare qualcuno che non si conosce molto bene. Se intervisti uno che segui da sempre, ti sembra di sapere già quasi tutto e ti sembra che tutte le domande siano banali. Però il lato positivo è che quel quasi può essere un ottimo punto di partenza, e che hai delle domande che hai covato probabilmente per anni, e che probabilmente sai anche cosa non è il caso di chiedere. Insomma, lati positivi e meno positivi, come in tutto.

Ricevo una mail della Signorina Ufficio Stampa: “Cara Adele, l’intervista è anticipata di tre quarti d’ora rispetto al tuo appuntamento”.

Ricordate la scena de L’aereo più pazzo del mondo in cui lampeggia un’insegna con scritto “No panic”? A un certo punto l’aereo attraversa una turbolenza e su quella stessa insegna inizia a lampeggiare la scritta “Ok, panic”. Bene, quell’insegna è nel mio cervello.

Per fortuna sono addestrata a lavorare in condizioni di panico e a gestire gli imprevisti (sembra una frase da colloquio di lavoro…beh, se qualcuno leggendo volesse assumermi per un lavoro figo e ben pagato: parliamone.). Perciò arrivo alla Manifattura con il mio Compagno d’Avventura/Operatore addirittura in anticipo.

Ma sono comunque già nel pallone. Continuo a ripetergli “Oh, Michael Palin…”, imbambolata, ogni ventisei secondi circa. Che persona paziente.

Vedo arrivare un po’ delle persone e personalità ospiti di questo sabato al Biografilm. A un tratto arriva anche il rampante signore in sneakers, jeans e impeccabile camicia a maniche lunghe (nonostante il caldo atroce). Che strano vederlo fuori da uno schermo.

“Oh, Michael Palin!”

“Sì, Ade, ho capito…Michael Palin…aspettiamo qui e stai calma”

“Oooh! Michael Palin!”

“E sì, sì…stai buona, arriverà tra poco”

“Noooo! Quello! Lì! C’è lì Michael Palin!”.

Aspettiamo un tempo apparentemente infinito, prima che venga il mio turno di intervistarlo (eppure siamo soltanto in due, sulla scheda di oggi). La giornalista che mi precede gli porta via troppo tempo, lui ha più volte spiegato che vorrebbe tornare in albergo prima della serata dedicata a Peter Sellers.

Forse questa giornalista sta con gli alieni. E mi sta sabotando.

Nel frattempo, ho finalmente conosciuto di persona la Signorina Ufficio Stampa, Alice – una ragazza davvero gentile (le dovrei davvero offrire da bere!). E Alice, ora, sta facendo conoscenza con la parte feroce di me. La fisso come se volessi inchiodarle le mie parole nel cuore: “Alice. Io devo fare questa intervista.”

Lei mi sorride e mi dice di stare tranquilla. Il signor Palin mi guarda e sorride (ottimo: pensa già che io sia un po’ svitata…).

Mentre la parte feroce di me si è data da fare, finalmente la giornalista aliena ha terminato. E posso iniziare a balbettare davanti a uno dei pochissimi miti che mi sono concessa il lusso di avere nella vita.

Quando mio padre mi ha chiesto chi sia per me Michael Palin, gli ho risposto “Pa’, è un po’ come se un cattolico incontrasse il papa”.

Ho un registratore digitale e un iPhone, come dicevo, così li aziono, mi assicuro che registrino e intanto tengo il mio taccuino nell’altra mano. Tutto questo sembra divertire il signor Palin, che a questo punto deve pensare definitivamente che io sia un po’ svitata.

E io penso definitivamente che non sia una cosa totalmente brutta.

Così ci mettiamo comodi e iniziamo a chiacchierare, senza pensare troppo al tempo che abbiamo a disposizione. Gliel’ho detto, “sarà breve e non le farò del male”.

Iniziamo dalla sua passione per i viaggi: nel corso degli anni, è venuto fuori che lei non vuole fare il boscaiolo, ma vuole fare l’esploratore…

Oh beh, voglio fare anche l’esploratore, ma è un tantino pericoloso: potrei essere colpito da un albero…

Ma anche fare l’esploratore può essere pericoloso…

Già, è avventuroso, mi piace molto.

Come ha scoperto che le piaceva così tanto?

Volevo fare l’esploratore già da quando avevo nove anni. Leggevo i libri dei viaggiatori nel passaggio a Nord-Ovest, al Polo Sud, alla foce del Rio delle Amazzoni e pensavo “Com’è eccitante, è così diverso dalla vita che faccio qui a Sheffield”. Non c’erano molti posti in cui andare e l’idea di viaggiare mi attirava moltissimo, ma ci vollero molti anni prima che avessi la possibilità di viaggiare sul serio.

Come ha iniziato?

Andavo all’università e ho iniziato a scrivere, a lavorare poi con i Python e a fare film. Poi nel 1980 ho girato una serie per la BBC intitolata “Great Railway Journeys of the World”, un viaggio da Londra fino al Nord della Scozia, che andò molto bene. Otto anni dopo un regista mi disse che aveva visto il documentario e gli era piaciuto: non era in stile Python, non era buffo, non facevo lo scemo e mi chiese se mi sarebbe piaciuto fare Il giro del mondo in ottanta giorni, cioè ripercorrere le tappe del viaggio di Phileas Fogg senza prendere aerei e con una telecamera al seguito. Risposi subito di sì, e a metà viaggio mi accorsi che era la realizzazione del mio sogno d’infanzia. Ma è stata anche dura, e ho pensato di scrivere un libro su questa esperienza…è iniziato tutto così.

Cos’è che non manca mai nella sua valigia, e cosa invece dimentica ogni volta che viaggia?

Non dimentico mai un piccolo taccuino nero e una penna. Sono le cose più importanti, non mi importa se perdo tutto il resto, ma carta e penna sono vitali perché mi servono per prendere gli appunti su cui poi si basano i miei libri. E posso prendere appunti ovunque, al Polo Sud, nel mezzo delle Cascate Vittoria. Sono la mia vita, in viaggio. Invece dimentico sempre di portare con me una torcia. Quando sono in Inghilterra, basta premere un interruttore e c’è luce. Mentre se sei in Africa o sull’Himalaya, al tramonto piombi nel buio totale perché non ci sono luci elettriche, quindi ti serve una torcia. E io me ne dimentico sempre.

Cosa apprezza di più quando torna a casa dai suoi viaggi?

Cose banali come una tazza di tè, fatta nel modo in cui soltanto gli inglesi preparano il tè. Mi piace la routine. Quando si viaggia, tutto cambia continuamente e ci si deve adattare a varie condizioni – geografiche, fisiche, gastronomiche – mentre quando sei a casa puoi seguire un po’ di routine. A casa mia so esattamente qual è il posto del formaggio in frigo, so come prepararmi una buona tazza di caffè, e altre piccole cose del genere. E poi i giornali…sono drogato di giornali, e non sempre riesco a procurarmeli, quando sono in giro per il mondo. L’altra cosa che mi manca quando sono via sono i toast: sai, a noi inglesi piacciono molto e non è facile trovarli fatti bene. Sono sempre un po’ flosci, e non belli croccanti. Quindi toast, tè, giornali, routine: cose che non apprezzerei se restassi a casa tutto il tempo. Devi staccarti dalle cose che ami, in modo che quando torni le ami ancora di più. Mia moglie è d’accordo con questa teoria (ride, ndr).

Il Biografilm oggi celebra Peter Sellers. Bakshi, in Hollywood Party, dice “Non c’è niente come ridere”. Lei ha fatto ridere e sorridere tutto il mondo…ma cosa fa ridere Michael Palin?

La vita stessa. I Python nascono dall’osservazione. Rido di me stesso quando faccio errori, cosa che capita piuttosto spesso…rido della vita quotidiana, delle cose strane che succedono e che non ti aspetti…la vita e le sue idiosincrasie.

Uno dei marchi di fabbrica dei Monty Python è la satira. E la buona satira è un’arma molto forte, che i Python hanno usato molto bene. Siete mai finiti nei guai per i vostri sketch?

Con Life of Brian sì, è stata la cosa più controversa che abbiamo fatto. Se non ci fosse stato Gorge Harrison a finanziarci non ce l’avremmo mai fatta. Quando coloro che avrebbero dovuto produrre il film lessero il copione, si tirarono subito indietro. Quando poi il film è uscito, ci sono state proteste in varie parti del mondo. In America c’erano cattolici, ebrei, mormoni, battisti, quasi tutte le religioni protestavano fuori dai cinema. Siamo stati una forza di coesione tra le varie religioni, che si univano contro i Python. Però non siamo mai stati censurati in fase di scrittura: potevamo scrivere, e realizzare il nostro materiale. Soltanto dopo arrivavano gli eventuali problemi, come è successo anche in Italia, dove Life of Brian è arrivato quattordici anni dopo la sua realizzazione, il che equivale a una diversa forma di censura, in un certo senso. Non ci è stato mai impedito di scrivere qualcosa – però – e questo è abbastanza singolare, ma è stata una fortuna, perché ci ha dato la possibilità di aprire dei dibattiti, di discutere, una volta che avevamo realizzato qualcosa.

Il lavoro dei Python non è soltanto una delle cose più piacevoli del mondo, ma ha ancora il potere di farci fermare a riflettere. Questo significa che i Monty Python sono senza tempo oppure che certe cose della società non cambiano mai?

Penso che la gente cambi meno di quanto creda. Le circostanze cambiano. Al tempo dei Python non c’erano i cellulari, la gente non se ne andava in giro con le cuffie ad ascoltare musica per strada. Ma queste sono cose superficiali, l’essenza della gente non cambia. Ci sono ancora le persone pompose, che si comportano come se sapessero cosa è giusto e cosa no, ci sono i bulli, i presuntuosi, quelli che si uniscono a strane società, quelli che fanno giochi strani. La stravaganza umana è meravigliosa e c’è sempre. La dieta dei Monty Python era basata sull’eccentricità della gente, e credo che gli show dei Python piacciano ancora per questa ragione: non hanno una particolare connotazione temporale, ma si basano sulla bizzarria del genere umano. E poi perché ci sono sempre nuove persone al potere e nuove persone che ci dicono cosa fare e abbiamo bisogno di rinnovare lo spirito sovversivo che ci fa dire: “Perché dovremmo essere d’accordo con questa cosa? Perché stiamo lasciando che accada? Pensiamola diversamente”. E questa è una cosa che dovrebbe sempre andare avanti.

*****


Già, dovremmo rinnovare più spesso quello spirito che ci fa dire “ehi, aspetta un momento, non sono d’accordo”.

Quella stessa sera mi ritrovai in sala con il Signor Palin, il mio Compagno d’Avventura/Operatore e Charlie Kaufman. Mi sembrava di essere nell’incipit di una barzelletta. Di quelle che iniziano con un francese, un inglese, un americano...ancora più surreale è stato poi ritrovarmi in un pub (sempre sotto un portico…Bologna: una città, un portico) a bere birra al tavolo accanto a quello del Signor Palin, mentre guardavamo Usa-Inghilterra al maxischermo…ma, dopotutto, se non ti capita qualcosa di bizzarro o surreale in una serata dedicata a Peter Sellers, non so quando altro dovrebbe capitare.

Cose bizzarre e inaspettate, come tutto quel finesettimana. Come l’Inquisizione Spagnola.



Grazie ad Alice Boscardin (la "Signorina Ufficio Stampa") e a tutto lo staff del Biografilm Festival 2010.


Photo (c) 2010 Giuseppe Longo (MisBug) All Rights Reserved.


Per la Parte I clicca qui


Listen to the interview here. But keep in mind:

0:01 You can hear Mr. Palin’s laugh before the interview begins. He was laughing because I was recording the interview using a digital recorder AND an iPhone with a recording App, and I was making sure that they were both on and recording, and I was holding them both in one hand, while holding my notes in the other one. Maybe he thought I was a bit silly. Not “maybe”…for sure.

0:01-9:51 My English is normally much better than this. When I don’t speak to one of my myths, I have a better pronunciation and fluency.

4:50 I don’t know why I said routiiiiiine like that…and I don’t know how could I use the wrong tense some seconds after routiiiiine…I was totally shaking, even though Mr. Palin was so nice and kind and sweet.

9:51 The recording ends with a “I have a last re…”: well, I had a last request for Mr. Palin. And it was an autograph…I told Mr. Palin I have been waiting to meet him for ages, and he seemed flattered (even though he surely heard this kind of things so many times), and he wrote “Now you can stop waiting for Michael Palin!”. Sure, I can stop waiting, but I still can’t believe it.



(c) 2010 Adele Meccariello All Rights Reserved



domenica 11 luglio 2010

Ed è subito sera (all'alba)

Ogni tanto si può anche invertire il corso delle cose. E andare a letto più o meno all’orario in cui nel resto della settimana ci si alza. Ogni tanto si può anche restare alzati a discutere di punti di vista diversi e apparentemente inconciliabili, scegliendo come punto di partenza due citazioni antitetiche eppure ugualmente note. Ecco salire sul ring “Nessun uomo è un’isola” vs “Ognuno sta solo sul cuor della terra trafitto da un raggio di sole. Ed è subito sera”.
Col passare dei quarti d’ora e con il cielo che diveniva via via più chiaro, ho scoperto che forse si sta soli sul cuor della terra di una penisola.
Nessun uomo è un’isola. Siamo progettati,
nostro malgrado, per avere contatti con gli altri. Il linguaggio si è sviluppato per l’incontrovertibile bisogno di comunicare; da qui un numero infinito di strutture e sovrastrutture sociali per tenerci in contatto gli uni con gli altri. E sul piano biologico non si trovano che conferme: l’impulso fisico a flirtare e accoppiarsi e riprodursi regola moltissime delle nostre azioni. Tuttavia, si è soli. Ciascuno di noi lo è, anche chi è convinto del contrario, chi è circondato dall’amore e dalle cure altrui. È solo. Mi spiego. Se io mi rompo una gamba, potrò ricevere mille amorevoli cure dai miei famigliari e amici. Ma il dolore lo sentirò io soltanto. Se vinco un premio, potrò condividerlo con tutti quelli che mi sono stati accanto nella strada per raggiungerlo. Ma la gioia più pura sarà mia soltanto. Le mie scelte, le mie rinunce, i miei sacrifici, le mie conquiste. Potrò progettarle con qualcuno o a volte per qualcuno. Ma riguardano la mia vita innanzitutto. Quando sono uscita dall’utero di mia madre, è stato reciso un legame e deciso un destino. E quando morirò, me ne andrò da sola. Ovvio, però, che – nel frattempo – sul cuor della terra ci saranno molti passi che lasceranno impronte più o meno profonde.

Le solitudini imbarcatesi all'alba di questo discorso.
(c) Adele Meccariello 2010 All rights reserved.

domenica 4 luglio 2010

Gli spiaggiati

E intanto...cose che mi impediranno di trovare facilmente il tempo per mettere subitissimo online l'intervista a Palin e quant'altro, ma che permetteranno chiunque di esprimere online e non solo il proprio sdegno per il mio operato!
Da domani, alle 10 del mattino, "Gli Spiaggiati".
Dal lunedì al venerdì.
Mattinata di vaneggiamenti organizzati on the rocks.
Se col caldo vi si spiaggia il cervello: 97.3fm e controweb.it

Contatti.
Msn. diretta@controweb.it
Mail. diretta@controweb.it
Facebook. Controradio - Bari
Twitter. adelemecca
Tel. 080-522 72 96

giovedì 1 luglio 2010

Biografilm Festival - Parte I (e parte anche la sottoscritta)


Il 99% di noi si è sentito per un certo periodo di tempo – più o meno lungo – “diverso”. Perché gli altri la pensavano in un altro modo, perché vivevano in un altro modo. Perché ridevano
in un altro modo. Quest’ultima opzione è stata la più significativa, nella mia vita. E lo è ancora. La cosa difficile non è mai trovare persone con interessi comuni o con cui andare d’accordo. La parte difficile, quella che ha sempre determinato la “magia” in un rapporto con gli altri membri del genere umano, è sempre trovare qualcuno con cui ridere.

Un giorno di molti (molti) anni fa, ho visto un film in cui il messia era del Capricorno. E si chiamava Brian. E ho capito che avevo trovato le mie anime gemelle del grande schermo (e della tv). I Monty Python. Da allora sono passati molti (molti) anni, durante i quali ho avuto modo di studiare e conoscere i Python a fondo. Al punto che non esiste più la linea che separa il mio essere “così” perché conosco loro dal mio essermi avvicinata tanto a loro perché sono “così”.

Questa premessa si è resa necessaria per contestualizzare meglio ciò che sto per raccontare.

Ho dovuto rileggere due o tre volte il programma del Biografilm Festival 2010, prima di rendermi conto che la presenza di Michael Palin era prevista in un finesettimana di metà giugno a Bologna. Manifattura delle Arti. Via Azzo Gardino. E l’esclamazione che ha seguito questa presa di coscienza non si discosta molto dal nome di Via Azzo Gardino.

Butto lì una richiesta per un’intervista al signor Palin, con le stesse speranze con cui il Capitano Achab butterebbe in mare un amo arrugginito con appeso un pezzetto di mortadella sperando di acciuffare Moby Dick.

Intanto i giorni passano e – in assenza di una risposta definitiva da parte dell’ufficio stampa del festival (le cui mail sono sempre estremamente garbate e ricche di “Lei”, “La ringrazio” eccetera, nonostante io percepisca chiaramente che io e la Signorina Ufficio Stampa Biografilm abbiamo la stessa età) – in assenza di risposte definitive, dicevo, mi lascio fagocitare dal lavoro, dalle ore in più passate in ufficio, dalle ore frenetiche passate fuori dall’ufficio, insomma…dalla vita.

E dalla mia incapacità di pianificare cose a lungo termine (anche sette giorni per ora sono un lungo termine), a meno che non si tratti di lavoro o di vite altrui. O a meno che non mi si punti una pistola alla tempia, chiaro.

Così arriva l’ultimo giorno utile per decidere, e io ci arrivo cosciente e incosciente. E decido: se non ho una risposta entro le sette, non vado più da nessuna parte.

Poi c’è una parentesi di cupezza, e non si riempiono i blog con le parentesi di cupezza della propria vita privata (a meno che non possano costituire confessione di pubblica utilità, ma non è questo il caso), e alla fine decido e organizzo il viaggio nello spazio di un paio d’ore, e prima delle sette.

È stata una fortuna, perché alle otto mi è arrivata una mail della Signorina Ufficio Stampa Biografilm che mi chiede – in tono ben più corretto ed educato di questo – se non è che per caso mi va bene intervistare Michael Palin sabato pomeriggio; se non mi scoccia, insomma.

A questo punto vorrei rispondere dando del tu e scrivendo un sì con mille punti esclamativi alla Signorina Ufficio Stampa, invitandola ufficialmente a tutte le mie prossime feste, offrendomi di pagarle da bere a vita. Ma mi rendo conto che forse non è professionale, quindi respiro e scrivo un’educatissima e distaccata conferma.

Intanto penso a cosa godermi di Bologna e del suo Biografilm Festival 2010: International celebration of lives.

Time to celebrate, sicuramente.

Una Trenitalia insolitamente efficiente mi accoglie a bordo di un treno puntuale, rinfrescato dall’aria condizionata e con tutti i sedili a posto. Ovviamente non sono esattamente puliti…ho detto “efficiente”, ma ho pur sempre detto “Trenitalia”.

Bologna è calda. E non intendo “appassionata” o altri sinonimi. È proprio calda. Banalmente: non c’è il mare. Non c’è aria. Appena arrivata sopra la linea del Rubicone divento la terrona per antonomasia che “Senz’ ‘o mar’, mor’”. Mi viene in mente Lucia, protagonista di FF.SS. Che mi hai portato a fare ngoppa a Posillipo, se non mi vuoi più bene?.

Chella ca si nun canta, more.

Che poi è la stessa che aveva gli attacchi di napoletanite e bisognava farla rinvenire da tale eccesso di “napoletanismo” mettendole sulla fronte – al posto del ghiaccio – una fetta di panettone. Beh, magari così non afferrate molto il senso; in ogni caso, è un film che va visto: quindi correte ai ripari, eventualmente.

Ma tornando a Bologna. Non c’è la brezza, non ci sono le cozze, non c’è il Petruzzelli, ma può andare. Le persone che incontro sono tutte molto gentili e gli automobilisti hanno assorbito in pieno il concetto di “strisce pedonali”, ovvero: quelle cose che quando uno ci sta camminando sopra, ti devi fermare e lasciarlo passare. E non quelle decorazioni tribali che stanno per terra, proprio sotto i piedi di questo deficiente che ci sta camminando sopra.

Sono molte le ragioni per cui sono venuta al Biografilm. Tra queste, subito dopo Palin, ci sono i gadget.

E i film, ovvio.

D’accordo, prima i film e dopo i gadget.

Ma non posso proprio resistere quando leggo che a una manifestazione o evento qualsiasi regalano dei gadget.

Così arrivo subito al village di Via Azzo Gardino (anche perché la tessera del festival, che otterrò con uno sconto grazie alla tessera Feltrinelli, mi fa ottenere a sua volta uno sconto in albergo…quindi è la prima tappa per forza, il village di via Azzo Gardino) e dopo essermi registrata e aver ottenuto un fantastico tesserino su cui è stampato il mio nome (senza errori di spelling!), aspetto con ansia la mia dose di gadget. Sì, proprio come una bambina aspetta il regalo di compleanno, avete capito il genere.

Non molta roba, a dire il vero, ma è sorprendente che tra i gadget di un festival del cinema e della celebrazione di vite celebri ci sia una boccetta di erba cipollina.

Un dettaglio che ho trovato esilarante e surreale, quasi quanto la disorganizzazione di certi punti del baraccone organizzativo. Desk e banchetti che rimandano uno all’altro, informazioni date in modo approssimativo o volutamente parziale (in modo da indurre – ad esempio – gli spettatori a tesserarsi per avere dieci proiezioni in omaggio, senza avvisarli prima che per quegli omaggi si devono scapicollare al botteghino 48 ore prima o sperare nei last minute). Mi sorprendo a pensare che alcuni eventi a cui ho assistito in Terra di Bari erano organizzati meglio. Ma non mi lamento: d’altra parte, nessun baraccone è perfetto. E inoltre la disorganizzazione al Biografilm è compensata dalla gentilezza, disponibilità e allegria di tutti i membri dello staff. Anche di quelli che ho visto a lavoro al mattino, appena arrivata, e che rivedrò ancora a lavoro di sera. L’età media è molto bassa e molti di loro sono studenti.

Tutte le sale dedicate alle proiezioni e agli incontri con gente come Charlie Kaufman (se vi siete mai chiesti quale mente deviata ha partorito Essere John Malkovich o Se mi lasci ti cancello, la risposta è “Charlie Kaufman”) o Cristiano De André, sono all’interno della Manifattura delle Arti. Vabbè, non è colpa di Bologna e dei giovani trotterellanti del Biografilm se non gli hanno fornito una splendida cornice. La Manifattura non è il Petruzzelli, ma ci si sta molto bene. E poi, quello che conta è la magia che passa sullo schermo. E assieme alla magia, la tenerezza. Per una bizzarra coincidenza, stasera viene proiettato L’épine dans le coeur, l’ultimo film(documentario) di Michel Gondry, al quale ha lavorato anche il mio amico Jean-Louis. La sua risata inconfondibile è il primo suono che si diffonde in sala non appena vengono sistemati i piccoli problemi all’audio dei primi secondi della pellicola. So che è in quella scena ancor prima che venga inquadrato: nessuno ride così.

E per la rara democrazia che vige soltanto ai festival e in pochi altri posti al mondo, mi viene data la possibilità di esprimere il mio voto su un film che ho visto crescere.

Ma la contentezza e la magia del cinema, la buona compagnia e la musica di Goldmine Factory non bastano a farmi reggere ancora in piedi.

Si va a letto. Domani è il giorno in cui la piccola Adele cercherà di non inciampare sul suo respiro tremante incontrando Mister Michael Palin.



Photo (c) Adele Meccariello 2010. All rights reserved.

Monty Python's pic. Courtesy of the web.


http://www.wikio.it/