sabato 28 aprile 2012

Il duca e la delfina

La mia delfina preferita, Maria Antonietta
Da sempre la Francia e l'Inghilterra sono in competizione. Per qualsiasi cosa: economia, letteratura, arte, e probabilmente se le danno di santa ragione pure negli spogliatoi dei campionati di curling.
Ma oggi noi metteremo insieme la Francia e l'Inghilterra. Nel piatto. E zitte tutt'e due.
Per la Francia, abbiamo le pommes dauphine. Si chiamano così perché sono dedicate alla delfina, che altri non è che la moglie dell'erede al trono di Francia: il delfino, appunto. 
Le patate dauphine sono una variante delle patate duchesse, con l'aggiunta di pasta choux all'impasto.
Bisogna lessare le patate e schiacciarle; poi si aggiungono sale, noce moscata, burro a tocchetti, uova e - volendo - Parmigiano. Le quantità devono essere regolate in modo tale che il risultato assomigli a un puré.
La pasta choux, invece, si fa così (a noi serve cruda, lasciate perdere la parte in cui la signora Giallozafferano spiega come cuocerla).



Unite il puré alla pasta choux; poi si possono fare sia dei bigné da cuocere in forno per 20 minuti a 190°, sia delle crocchettine da friggere in abbondante olio. 
Pommes dauphine, al forno e fritte
Il Duca di Wellington in un ritratto
di James Lonsdale del 1815:
indossa i "suoi" stivali
La parte inglese del pranzo è il filetto Wellington. Sì, come il duca di Wellington. Sì, quello che contribuì alla più grande sconfitta di Napoleone, nel 1815, che è diventata la sconfitta per antonomasia: Waterloo.
Si dice che il duca di Wellington (nato Arthur Wellesley) non fosse una buona forchetta, anzi, pare fosse proprio il tormento di molti cuochi che non ricevevano mai da lui alcuna soddisfazione. Ma un giorno gli fecero un filetto di manzo in crosta di pasta sfoglia con paté di funghi, prosciutto e senape inglese: quello sì, lo convinse. E il duca sembrava non voler mangiare altro. Un'altra leggenda, invece, racconta che il piatto - prima di essere fatto a fettine - assomigli molto a uno stivale Wellington. Sì, perché il duca ha dato il suo nome anche a degli stivali.
Sembra che il vecchio Arthur disse al suo calzolaio di fiducia di modificare i classici Hessian boots in voga al tempo. Il risultato fu un paio di stivali non molto adatti alla battaglia, ma perfetti come stivali da sera. Da allora quegli stivali portano il nome del duca.
Che sia per gli stivali, che sia perché non gli piaceva mangiare quasi niente, il filetto Wellington è diventato uno dei piatti forti della cucina inglese.
Si prende un filetto di manzo e lo si passa nell'olio d'oliva caldo, da tutti i lati, per sigillare la carne affinché resti tenera e non perda i suoi succhi. Poi si puliscono e si frullano i funghi; si passa la purea in padella senza aggiungere nulla, finché non perde tutta l'acqua.
Si stende un foglio di pellicola, lo si copre con uno strato di fette di prosciutto di Parma, ci si spalma su la purea di funghi e ci si poggia sopra la carne cosparsa di senape forte.
Si arrotola il tutto, lo si stringe bene nella pellicola, e lo si fa riposare una ventina di minuti in frigo.
Nel frattempo potete metter su un po' di musica. 


 

Dopo di che, si toglie la pellicola e si avvolge il filetto-prosciutto-purea nella pasta sfoglia, che cospargeremo poi con dell'uovo. Si cuoce, infine, in forno per una quarantina di minuti a 200 gradi. 

Uno che sul filetto Wellington (e non solo) la sa lunga è lui. 



Nota importante: IL MACELLAIO
Sembrerà ovvio, ma per il filetto Wellington è fondamentale il filetto.
Bisogna andare dal macellaio uno o due giorni prima e chiederglielo, affinché ce lo metta da parte, e non ci faccia trovare "Questo delizioso filetto a fettine, signorina", o non ci dica "Ma guardi che il lacerto è uguale". Perché no, signora mia, del filetto a fettine non me ne faccio niente e il lacerto non è affatto uguale. Se no si chiamava filetto.
La specie Macellaio è un concentrato dell'intera specie umana: ci sono alcuni buoni esemplari, ma tendenzialmente conviene non fidarsi mai troppo alla leggera.
Tu devi andare dal macellaio, guardarlo dritto in faccia e dirgli cosa vuoi. Anche se non lo sai veramente bene, tu devi fingere di saperne quanto lui, se no sei spacciato. E finisce che ti rifila 26 kg di fettine da fare panate. 


mercoledì 25 aprile 2012

La verità, vi prego, sulla Barbie - Barbie Pubblico Parlante


La vera storia, a puntate, dietro le Barbie di dubbia fattura.
Sono state messe sul mercato con un nome e una storia. Ma la verità è un'altra.
Sarò il Roberto Giacobbo dei vostri balocchi.

 

Voi la conoscete come Barbie Pink Modern, ma anche questa volta la verità è un’altra. Dovreste rendervene conto da soli, dalla sobrietà dell’outfit e dalla tonalità di biondo. Essa è Barbie Pubblico Parlante. Ne trovate diverse versioni in carne e ossa ammonticchiate sui gradini dell’arena di Uomini e Donne ogni pomeriggio dentro al vostro televisore. Sì, anche se l’avete pagato migliaia di paperdollari, dentro al vostro televisore c’è comunque Maria De Filippi.
Voi non lo sapete perché l’outfit attira tutta la vostra attenzione, ma Barbie Pubblico Parlante ha un tasto nascosto sul fianco; se lo pigiate, sentirete le espressioni tipiche del pubblico parlante di Uomini e Donne: “Falzo”, “Buggiardo”, “Mastaizzitta”, “Tu sei qui solo per le telecammere”, “No, cioè, ti prego, cioè, Maria ma stiamo scherzando”, “Posso parlare? Mi fai pa…mi fai parlare?”, e “Maria scusate!”.
Barbie Pubblico Parlante è dotata di borsa e occhiali finto-Gucci da tenere perennemente in testa in luogo di un più adatto frontino.
Maria De Filippi, bionda, e alcuni esemplari di Pubblico Parlante. Biondi.
I capelli color biondo punto 5 sono approvati dalla LFM (Lega dei Figuranti di Maria) a fedele riproduzione della tinta usata dalle signore Paola, Daniela e compagnia bella.
Barbie Pubblico Parlante ha le ginocchia snodate per sedere perfettamente sulle gradinate degli studi tv Mattel ed è dotata di una piccola pedana rosa che funge da amplificatore per le sue invettive.

sabato 14 aprile 2012

Amami, Alfredo

Alfredo di Lelio davanti al suo ristorante in Via della Scrofa a Roma.
Le fettuccine Alfredo.
Se pensate di avere nel piatto soltanto della pasta al burro e parmigiano, vi sbagliate. Perché le fettuccine Alfredo vengono da molto lontano, e parlano di due cose che sembrano molto lontane ma che troppo spesso si toccano: l'amore e la sofferenza.
L'amore è quello di Alfredo di Lelio per una moglie inappetente. La sofferenza è quella di entrambi: del corpo della signora di Lelio e del cuore di Alfredo nel vederla sfiorire.

Roma, 1914.
La signora Ines ha appena dato alla luce Armando (secondo altre versioni della storia, sarebbe incinta di Armando), e ha perso completamente l'appetito; è molto debole. Alfredo, proprietario di un bel ristorantino in Via della Scrofa, le prova tutte; ma nessuno dei suoi manicaretti riesce a sedurre la moglie. Preso dal più cupo sconforto, pensa di proporle un piatto semplice, ma potenziato; non delle semplici fettuccine al burro, ma delle fettuccine con molto burro (raddoppia la dose) e molto parmigiano, amalgamati in una sorta di crema. Un'idea semplice, ma evidentemente geniale: Ines finalmente ricomincia a mangiare; va matta per questo piatto, per la cremosità del condimento, per il sapore del burro e del formaggio, tanto da chiedere al marito di aggiungere le fettuccine al menu del ristorante.

Roma, 1927.
Douglas Fairbanks e Mary Pickford, star del cinema muto di Hollywood, sono in luna di miele a Roma. Si fermano a mangiare al ristorante di Alfredo e s'innamorano all'istante delle sue fettuccine, così come accade a George Rector, ristoratore di New York, che ne tesse le lodi nella sua rubrica sul Sunday Evening Post.

Alfredo doesn’t make fettuccine. He doesn’t cook it. He achieves it. […]Alfredo’s fettuccine is poetry. 
(Alfredo non fa le fettuccine. Non le cucina. Le ottiene. […] Le fettuccine di Alfredo sono poesia.)
È così che le fettuccine Alfredo sbarcano negli Stati Uniti e rendono il signor di Lelio famoso in tutto il mondo. 
Alfredo di Lelio

Amami quanto io amo le tue fettuccine...
Sono facili da preparare, il trucco è essere veloci.
Per 4 persone - Alfredo, Ines, Armando e noialtri.
200gr di burro
400gr di fettuccine all'uovo
200gr di Parmigiano grattugiato
3/4 di tazza di acqua di cottura della pasta

Mentre le fettuccine cuociono (attenzione, ci servono al dente), taglio il burro a tocchetti piccoli e lo metto in un grosso piatto, possibilmente caldo. Metto da parte l'acqua di cottura e, dopo aver scolato le fettuccine, le adagio sul burro, mettendoci su immediatamente anche il formaggio e un po' di acqua della pasta.
Continuo a girare, pensando a quanta speranza e quanto amore ci ha messo Alfredo la prima volta, per Ines, per suo figlio, perché - come diceva Elsa Morante - la frase d'amore più vera, l'unica, è "Hai mangiato?".
Intanto si è formata una crema profumatissima che abbraccia tutte le fettuccine. È pronto.
Una versione più veloce ancora prevede che si metta a scaldare in padella il burro insieme all'acqua della pasta e poi si facciano saltare le fettuccine nel liquido ottenuto, aggiungendo il formaggio e mantecando su fuoco medio-basso il tutto, finché non si forma la crema. Ci vogliono un paio di minuti. Il tempo di cantare un'aria d'opera.





 
 

giovedì 12 aprile 2012

La Puglia migliore

La Puglia migliore. Uno slogan a effetto che si infila dritto dritto in testa come un tormentone da Carosello, tipo "Bianco che più bianco non si può" e "Se ti piace la frutta, mangiatela tutta". Il prodotto, però, non è un detersivo, né un elisir per le vostre merendine: è una regione intera. Con il suo sole, il mare, il suo vento, il suo cibo, il suo vino, la sua creatività e i suoi talenti.
Così è iniziato tutto, più o meno (qualcuno di voi è già lì col ditino-Flanders a dirmi che non è iniziata esattamente così; ma dobbiamo semplificare, non possiamo passare la giornata a fare l'esegesi della moda pugliese). E per un bel po' tutto quello che era pugliese è stato il massimo. Tutti in Puglia a fare le vacanze, a mangiare, sposarsi, ballare, lavorare, e a fare tutte le cose elencate nel Gioca Jouer.
Adesso si continua a parlare di Puglia, ma qualcosa sta cambiando.
Stavolta non lo so da dove sia iniziato tutto quanto. Figuriamoci se riesco a capire perché. Fatto sta che la gente impazzisce ancora per la Puglia, ma nel frattempo anche la Puglia sta in qualche modo impazzendo. E per questa pregressa relazione d'amore folle con la nostra regione, un po' tutti si sentono in diritto di giocarci, con le nostre sciagure, puntandoci addosso i riflettori e i ditini-Flanders già citati qualche riga più su.
Un po' come quando incontri un personaggio famoso per strada e inizi a parlargli come se foste amici, facendoti anche una forchettata di fatti suoi, criticando le sue scelte come se dovesse darti delle spiegazioni. Insomma, avete capito la sensazione.
È più o meno da un mese che l'immagine forse troppo patinata e un pelino campata in aria della Puglia è un po' incrinata. Puglia che - per quanto meraviglia delle meraviglie - è una regione stupenda come altre in Italia. Che so, il Molise, se soltanto esso esistesse davvero e non fosse una mistificazione di certe sette massoniche uzbeke.
Forse è iniziata più o meno con l'affaire Degennaro-Emiliano-cozze pelose. Il dileggio dell'Italia. Toh, il sindaco di Bari si fa corrompere da una chilata di cozze. Terùn. La vicenda era ovviamente molto più complessa di così, e non si trattava di corruzione, e le cose in cui andare a scavare non erano le vasche piene di pesce del sindaco, ma le tasche di altra gente. Però alla fine sui giornali ci siamo finiti perché il signor Sindaco a Natale aveva la vasca piena di pesce ricevuto in dono.
Poi però la botta è arrivata sul serio: è arrivato il calciovergogna.
Calciatori, scommettitori, "tifosi" (e le virgolette sono d'obbligo), vari professionisti, coinvolti in un giro di compravendita delle partite del Bari calcio. No, la vicenda non è più complessa di così. Si tratta di stronzi che fanno mercato sulle emozioni della gente.
E ogni giorno, i tifosi veri subiscono un nuovo colpo. Spunta Mister X, quello che passava i soldi per comprare il risultato del derby Bari-Lecce (per intenderci: il derby Bari-Lecce è sentito cinque-sei volte in più rispetto a un normale derby). Poi spunta Mister Y, un altro che maneggiava soldi e truccava partite. Poi spunterà sicuramente Mister Z.
Un calciatore è finito in carcere perché ha ammesso che durante quella partita, la partita per cui i Tifosi si sono fatti un fegato tanto, ha segnato un autogol di proposito, per fare in modo che il Lecce vincesse e lui potesse incassare quanto pattuito.
In tutto questo, come se non facesse già abbastanza schifo, ci sono anche degli ultras. Pare che alcuni di loro - fregandosene bellamente del calcio vero e proprio - siano coinvolti in questa losca compravendita. Secondo voi, un Tifoso vero, come si sente? Beh, io ne conosco un po', di Tifosi veri. Gente che - appunto - si fa un fegato tanto, gente che rinuncia al pranzo in famiglia quando Sky decide che il Bari deve giocare alle 12.30, anche se si muore di caldo. Gente che vive l'appuntamento col calcio come si vive una giornata di festa. Persone che ci credono sul serio, a quei colori, che seguono tutte le partite in casa e mettono da parte i soldi per le trasferte importanti, perché - dicono - la squadra ha bisogno di loro così come loro hanno bisogno della squadra. Già, ci spendono dei soldi. Non li guadagnano truccando i risultati, li spendono per andare a vedere uno spettacolo pensando che non sia tutto già scritto.
Ho parlato con loro, nei giorni caldi del calcioschifo. Si sentono tutti allo stesso modo, più o meno. Come quando la persona che ami ti tradisce.
"Qualcosa si è rotto", mi hanno detto alcuni. Una specie di indigestione, che richiede un periodo di disintossicazione. Per recuperare la fiducia e l'entusiasmo sinceri per poter stare con serenità sugli spalti a sudare o a puzzarsi di freddo.
"Una piccola consolazione però c'è; è come quando vedi la tua donna distratta, assente…e ti fai delle domande e pensi sia colpa tua. Poi ti accorgi che semplicemente ti metteva le corna, la stronza".
"Quando l'amore ti tradisce, tu non puoi comunque impedire al tuo cuore di amare ancora. E il Bari non è Masiello. Il Bari è il Bari".
È una questione d'amore, quindi. Ci provo sempre, a capire la passione per il pallone. Anche se la passione non ce l'ho, forse sto riuscendo a capirla un po' meglio.
La cosa che non capirò mai è il fuorigioco.


Grazie assai a Paolo, Micol, Corrado, Sergio (che prova anche a spiegarmi il fuorigioco da anni), Michele e Valerio per aver condiviso con me i loro pensieri.


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