domenica 26 settembre 2010

Succede solo a Bari.

La città in cui vivo io ha carattere, e questo non è sempre un bene; per le città vale un po’ ciò che si dice a proposito delle persone: quando qualcuno ha carattere, si dice che ha un brutto carattere.
Ma ci sono delle volte in cui viene voglia di abbracciarla, questa città, o almeno di raccontarla a tutti.
Pensavo di aver toccato il picco di bizzarro stralcio di vita urbana un giorno, in attesa di un amico fuori da una banca. Due ragazzine, dell’apparente età di quindici anni, chiacchieravano delle loro disavventure amorose. Di quanto sia difficile dimenticare un ragazzo che proprio non ti si fila. Una ha ascoltato pazientemente lo sfogo dell’altra, finché questa non si è fermata in attesa della perla di saggezza finale della paziente ascoltatrice. Costei ha infine cercato di spiegare che a volte le persone ci segnano in modo indelebile, e non è possibile dimenticarle, anche se non hanno mai ricambiato le nostre attenzioni. Useremo “Nico” come nome di fantasia e dovete immaginare tutto questo proferito con marcato accento barese: “Vedi per esempio Nico? Quello non mi piscia e non mi caga, eppure resterà per sempre nel mio cuore!”.
“Non mi caga”, di solito così si dice. Ma l’insensibile Nico deve aver passato la misura di quanto si possa ignorare una povera ragazza. Che comunque lo porterà per sempre nel suo cuore.
Ma nuovi picchi di bizzarria urbana mi attendevano, anche se ancora non lo sapevo.
Qualche giorno fa ero alla fermata dell’autobus; accanto a me un pingue e vivace ragazzino, che sembrava parlare soltanto dialetto, accompagnato da un’imponente madre e un’altrettanto imponente zia, si stava sciacquando le mani con dell’acqua da una bottiglietta di plastica, incurante degli schizzi che volavano un po’ ovunque (anche addosso all’altra gente in attesa del bus). Svuotata la bottiglia, l’ha gettata a terra e ci ha palleggiato qualche secondo, dopo di che l’ha lasciata sul marciapiede.
Ho valutato lo scenario. “Se gli dico qualcosa, potrebbe picchiarmi…o potrebbero picchiarmi le due signore che lo accompagnano…”.
Ma mentre ancora stavo facendo i conti di quante ossa avrebbero potuto rompermi con un solo “AUE’!” ben assestato, mi sento proferire ad alta voce:
“Giovanotto? Guarda, c’è un cestino, lì…se butti la bottiglia nel cestino è meglio: questa città fa già abbastanza schifo…”
Ora mi picchia. Ora mi scaglia addosso le signore e mi fanno la festa.
Invece no. Lui non mi ha picchiata. Ha raccolto la bottiglia e si è incamminato verso il cestino che gli avevo indicato. Le imponenti signore mi hanno solo guardata e io mi sono affrettata a dire che probabilmente il bambino si era solo distratto, magari non intendeva sporcare di proposito. Le signore mi hanno sorriso.
Intanto il ragazzino, dopo aver adempiuto il suo gesto civile della serata, è tornato verso di me urlando: “Mo’, che iè adaver u fatt’: chessa città iè ‘na mmerd’!”*
Che si sia reso conto di quanto sia facile e civile, tenere in ordine la città? Che magari la prossima volta ci pensi due volte, prima di lasciare qualcosa a terra?
Non ho di certo salvato il mondo; ma mi sono sentita meglio, dopo questo episodio.
Soprattutto perché alla fine non mi ha menato nessuno.


Photo: Adele Meccariello - (C) 2010 All rights reserved


* “Accidenti, è proprio vero: questa città versa proprio in pessime condizioni igieniche!”

mercoledì 15 settembre 2010

Forse non tutti sanno che...

Diciamo che ho un lavoro. Bello. Ma piccolo, incerto, mal pagato. Un irritante standard, in questo Paese.

Oggi ho incontrato in ufficio un uomo simpatico e del quale ho stima, che – quando ha saputo che ho una laurea in Lingue e Letterature Straniere conseguita col massimo dei voti – mi ha chiesto: “Ma quindi non è una laurea consona a trovarti un lavoro a tempo pieno e più stabile?”.

Gli ho risposto che “no, è il Paese che non sembra consono a ritagliarmi una nicchia a tempo pieno e vagamente stabile”.

Mi ha guardata con la comprensione che un uomo “realizzato” può avere solo se ha conservato un cuore, da qualche parte. Mi ha guardata rassegnato, impotente, irritato con qualcosa che aleggiava sopra le nostre teste. Uno sguardo che in parte mi ha fatto stare malissimo, perché non aveva risposte, e in parte mi ha dato speranza: perché importa ancora a qualcuno.

Era la fine di una giornata iniziata già con questi pensieri.

Conduco un programma radiofonico. Il programma si chiama “Forse non tutti sanno che…”, e in teoria dovrei riuscire a dare il buongiorno a chi sta ascoltando la radio alle nove del mattino. Gli racconto le buone notizie che possono sfuggire, le curiosità che le prime pagine ignorano.

Ma oggi non me la sono sentita di iniziare scovando una buona notizia per rassicurare gli ascoltatori.

Oggi ho iniziato così.

Forse non tutti sanno che ci sono cose che vorremmo non fossero sempre in prima pagina; come le vicende di Gianfranco Fini, che oramai sono il pane quotidiano della prima de “Il Giornale”, anche quando la camorra ammazza un sindaco che aveva alzato la testa.

Se in prima pagina ci finiscono Fini, Berlusconi, Vendola, il partito della pagnotta e i furbetti del quartierino, va a finire che davvero “non tutti sanno che” sotto la prima pagina c’è un paese che si muove.

E che muore.

Avrei voluto darvi un buongiorno diverso, oggi. Fa fresco, ma c’è un po’ di sole, qui in città. Esiste ancora la mezza stagione, insomma.

Ma non riesco ad essere troppo entusiasta perché ieri mi è capitata sotto al naso una notizia orribile. Col nasone che mi ritrovo io, è facile. Ma se avessi voluto cercarla, non l’avrei trovata. E dire che per mestiere cerco notizie che normalmente sfuggono.

Se non mi fosse capitato sotto al naso, tramite un link, non avrei mai saputo che un dottorando ventisettenne si è buttato dal settimo piano della Facoltà di Filosofia presso cui stava conseguendo il dottorato.

Gli avevano più volte detto che non avrebbe avuto futuro.

E lui non ce l’ha fatta.

Perché probabilmente ha capito che è vero. Ha capito che farsi strada in un Paese in cui ti si dice “stai tranquillo, ti assumerò fra otto anni”, è dura. Ancora più dura quando in quello stesso Paese i ricercatori che protestano per una riforma agghiacciante vengono “sostituiti” da altri che non hanno ragione di scioperare.

Lo dicevo con alcuni amici parlandone ieri sera; saltare tutti quanti da quella finestra, equivale a lasciare che le cose peggiorino.

E che il futuro diventi una roba del passato che non serve più a nessuno.

Ma se il futuro non funziona, proviamo con l’imperativo.

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